Le parole inascoltate del prigioniero Moro

Play episode
Hosted by
redazione

Vicenda umana, prima ancora che politica, l’”Affaire Moro” è ancora un tema caldo e irrisolto della recente storia repubblicana italiana. A 46 anni dal barbaro omicidio dello statista, le lettere scritte da Aldo Moro, nei 55 giorni della sua prigionia in piena Roma nel rifugio delle Brigate Rosse, sono ancora un macigno che pesa sulla classe politica, il mondo dei media e la coscienza civile.

Al pamphlet scritto da Leonardo Sciascia subito dopo la drammatica conclusione di quel rapimento, dà seguito Fabrizio Gifuni (nella foto di Musacchio, Ianniello & Pasqualini); nelle vesti di autore, interprete e regista prova a riflettere sulle carte che conosciamo, che ci sono pervenute. Si intitola “Con il vostro irridente silenzio” il suo monologo che va in scena da giovedì 15 a domenica 18 febbraio nel teatro Nuovo di Napoli.

“Con il vostro irridente silenzio” riporta a galla il clima claustrofobico e di smarrimento che ha contraddistinto i giorni tra il 16 marzo e il 9 maggio 1978. Costretto a subire un processo e una prigionia orribili, Moro affidò il suo pensiero alla scrittura. Scrisse missive ai colleghi di partito, ai rappresentanti delle istituzioni, alla famiglia; pose domande, provò a provocare risposte con domande che si persero sul muro dell’ostinato argine alla comunicazione con le Brigate Rosse.

La stampa italiana e il mondo della politica non credettero alla veridicità di quelle parole; si disse, e si scrisse, che Moro non era più Moro, non quello vero. Sconfessati quasi da tutti, i suoi appelli caddero nel vuoto, fino al tragico epilogo. Le lettere di Moro dalla prigionia, scrisse nel suo testo poi Sciascia, furono ritenute opera di un pazzo o comunque prive di valore perché risultanti da una costrizione.

Quelle carte, oggi, danno vita allo sdegno dello statista non creduto, non ascoltato, non compreso. Al loro fianco appaiono le parole tenere e affettuose rivolte ai familiari. Gifuni lo definisce “un doloroso e ostinato lavoro di drammaturgia che ora si confronta con lo scritto più scabro e nudo della storia d’Italia”.

A distanza di quarant’anni il destino di queste carte non è molto cambiato, ci dice Gifuni. Poche persone le hanno davvero lette, molti hanno scelto di dimenticarle. Le lettere e il memoriale sono presenze fantasmatiche, il corpo di Moro è lo spettro che ancora occupa il palcoscenico della nostra storia di ombre. 

Re.run.

Join the discussion

Subscribe