Come si reagisce alle infiltrazioni mafiose

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redazione

Piccoli e grandi comuni sciolti e in dissesto per voci di bilancio sfalsate, per riciclaggio di denaro di dubbia provenienza. Un tema scottante e difficile da analizzare, comprendere e far comprendere anche agli studenti che si avvicinano allo studio delle discipline giuridiche e sociologiche.

Il commissariamento dei comuni per infiltrazioni mafiose è il titolo del seminario del 29 febbraio che ha tirato le fila di una ricerca condotta dall’Università di Firenze in una rete di cui fanno parte anche l’Università della Calabria, l’Università di Salerno e l’Università di Napoli “Federico II”, e il gruppo di ricerca del Suor Orsola Benincasa di Topografie sociali e Sociologia giuridica.

Al seminario sono intervenuti Sergio Marotta, docente di Sociologia giuridica al Suor Orsola Benincasa, Vittorio Mete, docente di Sociologia dei fenomeni politici all’Università di Firenze, Fiorella Vinci, docente di Sociologia dei fenomeni politici presso eCampus, Antonio Giannelli, Viceprefetto, già Presidente SI.N.PREF, Marco Magri, docente di Diritto amministrativo presso l’Università di Ferrara, Biagio Politano, magistrato della Corte d’Appello di Catanzaro, Michele di Bari, Prefetto di Napoli, Stefania Ferraro, docente di Topografie dello spazio sociale all’Università Suor Orsola Benincasa, docente di Scienze statistiche e sociali all’Università Federico II.

Molti comuni commissariati entrano nella dinamica di una misura preventiva che ha l’obiettivo di salvaguardare la funzione pubblica. Il problema è capire qual è poi il percorso attraverso cui anche dopo la procedura di commissariamento si può concepire questa via come una salvaguardia della democrazia.

Il professore Vittorio Mete, coordinatore nazionale del progetto, ce lo spiega concretamente, partendo proprio dal titolo: Come l’amministrazione straordinaria cambia la democrazia?

“Da sociologi della politica che osservano, ormai da lungo tempo, la realtà sociale e politica, soprattutto delle regioni del Mezzogiorno, pare che i commissariamenti, vale a dire la sostituzione di un governo di derivazione elettiva con uno di nomina governativa, non sia solo una questione gestionale o di tutela dell’ordine pubblico, ma che la loro diffusione cambino, appunto, i connotati della democrazia per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi decenni”.

In che termini? “A partire dai primi anni ’90, sono ben 378 i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, molti dei quali più volte. Si tratta di comuni anche molto importanti, come Reggio Calabria e Foggia, non solo di piccoli comuni infestati dai clan. In alcune province meridionali, più della metà dei cittadini sono stati amministrati almeno una volta da una commissione straordinaria perché il loro Comune era stato sciolto per mafia.

Moltissimi Comuni sono poi stati sciolti per motivi di bilancio, perché finiti in dissesto. La sanità, che com’è noto è la principale voce di spesa delle Regioni, è stata a lungo commissariata in quasi tutte le regioni meridionali. L’elenco potrebbe continuare, ma già così è chiaro che il tanto decantato principio di autogoverno e di autodeterminazione, pilastro della democrazia, è messo seriamente in discussione dalle pratiche dei commissariamenti”.

Attraverso le fonti ufficiali disponibili il gruppo di ricerca ha cercato di disegnare una mappatura dei fenomeni dei commissariamenti negli ultimi tre decenni e dei comuni coinvolti nel fenomeno. In questo modo la ricerca contribuirà a fornire un quadro specifico delle casistiche osservate.

Ma quando esattamente si verifica il commissariamento dei comuni? Se dovessimo ancora spiegare ai nostri studenti cos’è un’infiltrazione mafiosa e come agisce all’interno di un’amministrazione comunale, come potremmo esprimere anche simbolicamente il concetto?

“Un Comune – spiega il professor Mete – viene sciolto a causa delle infiltrazioni mafiose quando il Governo – di fatto su indicazione della Prefettura e poi del ministero dell’Interno – a seguito di una specifica attività d’indagine, ritiene che gli amministratori locali siano condizionati (o anche solo condizionabili) da soggetti mafiosi. La legge che prevede lo scioglimento è stata introdotta, sull’onda dell’emergenza, nel 1991, in seguito a una cruenta faida che insanguinò le strade di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria”.

Il problema dunque è anche legato a una legge annosa che per i periodi correnti avrebbe bisogno di nuove integrazioni. “Da questo punto di vista – conferma – la legge sullo scioglimento dei Comuni ha una genesi molto simile a tutti gli altri importanti provvedimenti antimafia, introdotti anch’essi in seguito a qualche eclatante fatto di sangue, come gli omicidi palermitani dei primi anni ’80 e le stragi di Capaci e Via D’Amelio del 1992. La legge, dunque, è almeno in parte figlia del suo tempo, quando molto spesso la presenza mafiosa e il collegamento con partiti, gruppi politici e ricadute sull’amministrazione erano diretti e tangibili”.

Le infiltrazioni mafiose hanno spesso carattere “poroso” e sono difficili da individuare in un contesto di riciclaggio apparentemente “pulito”. Qual è il ruolo della giustizia in questo caso?

“Con una battuta si potrebbe dire che non ci sono più le infiltrazioni di una volta! Che forse, in realtà, così come ce le immaginiamo non sono mai esistite. Il punto è che i mafiosi vogliono qualcosa – denaro e potere, per semplificare – che perseguono anche altri. Ognuno ha i suoi metodi per raggiungere i suoi obiettivi, ma non è detto che quelli dei mafiosi siano sempre i più adatti allo scopo e, soprattutto, i più indolori per chi li porta avanti.

Inoltre, in verità non da ora, i mafiosi hanno sempre bisogno di attivare collaborazioni, il cui carattere è mutevole e può diventare anche molto conflittuale, con attori economici, politici, delle libere professioni, perfino con appartenenti alle Forze dell’Ordine e alla Magistratura, come si apprende dalla cronaca.

È quella che Rocco Sciarrone (sociologo delle mafie, ndr) ha chiamato ‘area grigia’, vale a dire l’area ampia dell’illegalità che cerca di vampirizzare le risorse pubbliche”.

Come potremmo spiegare il fenomeno agli allievi che si avvicinano a questo meccanismo?

“Il mondo è pieno di spiegazioni e ricette banali che, ovviamente, non spiegano e non risolvono alcunché. Qui la rappresentazione stereotipata, indotta da una certa immagine mediatizzata del fenomeno mafioso, è che i gruppi criminali facciano leva sulla risorsa della violenza per ottenere ciò che vogliono.

In verità, le infiltrazioni mafiose nei Comuni si realizzano, come provavo a dire prima, quando si creano delle “sinergie” tra soggetti che si collocano a cavallo dell’ambito legale e illegale. Ai giovani studenti direi allora di guardare a come si raccolgono i voti, a come si formano le liste elettorali e come vengono scelti i candidati alle cariche pubbliche.

Il governo locale è infatti un crocevia di interessi sul quale non solo i mafiosi vogliono mettere le mani sopra”.

“C’è chi cerca di appropriarsi di questo pezzo di Stato per usarlo per i suoi fini – chiosa -. E non ci può essere buona amministrazione se chi corre alle elezioni ha questo in mente. Da una cattiva raccolta del consenso, diceva Libero Grassi, deriva una cattiva democrazia”.

da.card.

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