Emergenza educativa, ecco il cuore del dibattito

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‘Imparare a leggere e scrivere per conoscere tutto il resto dell’umanità’: con queste parole il maestro Alberto Manzi inaugurò la prima puntata della celebre trasmissione televisiva ‘Non è mai troppo tardi’. Il 15 novembre 1960 Manzi appariva sugli schermi della televisione pubblica con i suoi bozzetti, disegni, immagini e oggetti comuni.

Il processo di alfabetizzazione dell’Italia del secondo dopoguerra era iniziato attraverso la TV. Innovativo e sperimentale, il metodo Manzi doveva il suo successo soprattutto all’utilizzo di un codice comunicativo basato su simboli e disegni.

Le cinque vocali scritte sulla lavagna in bella calligrafia, come si diceva in altri tempi: “Cercate questi segni ovunque – recitava pazientemente Manzi – se volete andare avanti cercateli ovunque, sull’insegna di un negozio, su un giornale, ovunque, se volete imparare”.

Sono trascorsi cento anni dalla sua nascita e oggi il Convegno nazionale SIPed, Società italiana di pedagogia, ne celebra la figura con un focus su ‘Ricerca e progettazione pedagogica per contrastare povertà educative e dispersione scolastica’.

Tre giornate di studio per riflettere sulle sfide attuali che la scienza pedagogica si impegna ad affrontare sul territorio tra le innumerevoli casistiche di povertà e dispersione scolastica.

Con un salto temporale ci siamo chiesti se sia possibile ora come ora pensare in Italia a un modello educativo come quello del maestro Manzi. Ricordiamo ad esempio le ‘pillole’ di lezioni per i maturandi, trasmesse dalla Rai durante il Covid.

Ne abbiamo parlato con Enrico Maria Corbi, direttore del Dipartimento di Scienze formative dell’Università Suor Orsola Benincasa, che ci riassume quali sono gli obiettivi delle tre giornate di studio.

“Il convegno SIPed che si svolgerà a Napoli dal 13 al 15 giugno ha l’obiettivo di analizzare due fenomeni educativi di stringente attualità: la povertà educativa e la dispersione scolastica. In particolare, il convegno intende approfondire la conoscenza di questi due fenomeni, individuandone le forme plurali, i fattori di rischio e le strategie educativo-didattiche che possono essere messe in atto per contrastarli e prevenirli. In questo senso, il titolo del convegno sottolinea che la ricerca pedagogico-didattica e la progettazione educativa sono risorse indispensabili per l’affrontamento di queste due emergenze”.

“Il sottotitolo del Convegno – spiega il professor Corbi – chiama in gioco la figura di Alberto Manzi, su cui si stanno soffermando recenti studi di pedagogia generale, di storia della pedagogia e di didattica per costruire un’immagine del celebre insegnante più completa e complessa. Certamente quella di Manzi fu un’esperienza interessantissima non solo per le finalità educative, ma anche per la sperimentazione in termini di dispositivi didattici e, dunque, per la valenza innovativa”.

Intelligenza artificiale, piattaforme digitali, community on line: siamo ben lontani dal mezzo televisivo come strumento mediatico educativo. Suddiviso in tre tappe tra Suor Orsola, Federico II e Orientale, il convegno ci aiuterà a riflettere anche su questi temi, perché il digitale oggi è effettivamente anche il nuovo terreno educativo, ma quali colture possono realmente venir fuori dal palinsesto tecnologico?

“A distanza di decenni, quell’esperienza ci insegna una cosa fondamentale: l’innovazione tecnologica può essere un volano straordinario della sperimentazione educativo-didattica a patto che questo connubio sia fondato su un progetto pedagogico solido, ossia sia fondato su un’analisi dei bisogni educativo-formativi delle persone, sulla conoscenza dei loro contesti di provenienza, su una consapevolezza degli obiettivi strategici da raggiungere”.

 “Direi – sottolinea –  che se Manzi ha lasciato un segno, e certamente lo ha lasciato, è nell’averci aiutato a capire che l’innovazione educativo-didattica necessita di più ricerca pedagogico-didattica (e non solo di ricerca in ambito tecnologico).

Inoltre, un’altra cosa che Manzi ci ha insegnato è la possibilità di esperire la connessione tra metodi, linguaggi e attività diverse tra loro, appartenenti all’ambito dell’educazione formale e dell’educazione non formale e informale. In questa direzione, non solo la TV – il cui ‘funzionamento’ e il cui ‘consumo’ è massicciamente cambiato nel corso del tempo – ma anche le altre tecnologie che affollano la mediasfera sono un ambiente utilissimo per provare a ‘meticciare’ formale e informale. Penso ai canali tematici che fanno divulgazione (dalla storia alla filosofia, passando per le scienze naturali) o alle pillole conoscitive sui canali generalisti, ma penso anche alla radio, ai podcast, ai serious game online”.

Al convegno SiPed si parlerà di povertà educativa, dispersione scolastica e progettazione pedagogica. Il legame tra ricerca pedagogico-didattica e intervento educativo ci fa pensare al rapporto tra educazione e società (scuole, famiglia, lavoro e comunità); come possiamo superare i confini tra lo spazio dentro e fuori la scuola?

“La lezione di uno dei più grandi pedagogisti del Novecento, mi riferisco a John Dewey, è che tra educazione e società vi è un rapporto ineludibile: l’educazione, secondo Dewey, è il collante che tiene in vita la società sia perché consente di riprodurre alcune dinamiche fondamentali all’equilibrio sociale sia perché consente di trasformare queste stesse dinamiche per sperimentare nuovi equilibri e, dunque, per consentire ai singoli e alla comunità nel suo complesso di emanciparsi da forme più o meno violente di subordinazione”.

Lo spazio scolastico è anzitutto luogo di educazione al sé, alla propria autonomia. È un luogo di crescita personale e anche una fucina di personalità e intelligenze che investiranno su se stessi, proprio fuori dall’ambiente scolastico.  Come avviene questo passaggio?

“Oggi si fa tanto parlare di come ridurre la distanza tra scuola e gli altri ambienti della vita quotidiani”, commenta Corbi. “Sono numerosi i progetti e gli interventi realizzati dentro e fuori la scuola da insegnanti, educatori, pedagogisti e altre figure professionali. Tuttavia, la domanda da porsi (e qui la ricerca pedagogico-didattica diviene decisiva) è: in che direzione spingere questo rapporto tra dentro e fuori la scuola?”

“Sempre più, infatti, si tende a concepire la scuola (ma lo stesso vale per l’università) come luoghi in cui ‘addestrare’ le nuove generazioni a essere sempre più competenti e pronte ad affrontare un mondo del lavoro in continuo cambiamento. Ma è davvero questo il compito della scuola? O questo compito che le viene attribuito non deriva forse dalla voglia di strumentalizzarla per fini di riproduzione economica e sociale?

E allora se è così, è necessario ripensare il rapporto tra scuola e società in direzione di trasformazione: la scuola deve essere, secondo Dewey, un laboratorio in cui, attraverso l’esperienza, che collega il fare al pensare, i singoli e la comunità si facciano promotori del cambiamento e non della riproduzione. La scuola non deve dunque aiutare le persone a sviluppare le competenze per il mondo del lavoro, ma deve formare cittadini e cittadine che siano capaci di inventare una nuova società e, dunque, anche una nuova economia e un nuovo mondo del lavoro. In entrambi i casi la scuola si collega alla società, ma in due direzioni diametralmente opposte. Investire in ricerca pedagogica significa, appunto, tenere chiara questa differenza e coltivarla”.

Il convegno SiPed apre i lavori giovedì 13 giugno alla Federico II, con i saluti istituzionali e le introduzioni di Maria Antonietta Mastrullo, Ettore Acerra, Andrea Mazzucchi, Maria Rosaria Strollo, Pierluogi Malavasi e Maura Striano. La sede centrale dell’Università Suor Orsola Benincasa ospiterà la sessione di venerdì 14 giugno, con i lavori introdotti dal Rettore Lucio d’Alessandro, Enrico Maria Corbi, Fabrizio Sirignano, e le sessioni parallelle e pomeridiane.

Il programma completo è sul sito SiPed

https://www.siped.it/convegno-nazionale-siped-2024-napoli/

Daniela Cardone

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