Una notte di confidenze con il soul di John Legend

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Piano e voce: è un format che si adatta a qualsiasi forma di arte popolare, dal blues al jazz e al pop. E’ la formula scelta da John Legend per il suo nuovo recital, “An Evening with”, andato in scena ieri sera nell’Anfiteatro degli Scavi di Pompei in un’arena gremita di fan, primo spettacolo della rassegna “Beats of Pompeii”.

Il sottotitolo di questo concerto che fa dell’intimità la sua forza è “Una notte di canzoni e storie”. Legend ha scelto di raccontare il suo tragitto di riscatto dalla povertà e dal disagio sociale attraverso la musica. Una storia, la sua, che lo ha portato a straordinari incontri e successi.

Il concept di questa biografia arricchita da canzoni prevede filmati, fotografie di famiglia, ritagli di giornali e perfino la traduzione in simultanea del racconto (su un maxischermo alle sue spalle).

Questa formula, in qualche modo simile a quella utilizzata da Bruce Springsteen a Broadway, funziona anche se lo storytelling a volte prevale sull’aspetto spettacolare. D’altronde Legend può permetterselo: è una star del pop-soul, che ha 12 Grammy Awards, un Oscar, un Golden Globe Award, un Tony Award e un Emmy Award alle spalle.

Diviso in due tempi, “An Evening with” ha momenti di accorata emotività ed è arricchito da una serie di tributi importanti: la sua versione a cappella di “God Only Knows” dei Beach Boys con cui apre il secondo tempo dello show è da brividi e anche la “Redemption Song” di Bob Marley lascia il segno. La girandola di citazioni e di omaggi coinvolge anche Stevie Wonder (“Ribbon in the Sky”) e Simon & Garfunkel “Bridge Over Troubled Water”).

Poi c’è il suo canzoniere, espresso attraverso una tecnica pianistica che rimanda più ai modelli di Elton John e Billy Joel che ai grandi del rhythm’n’blues. Strappano applausi a scena aperta “All of Me”, “Ordinary People”, “Wonder Woman” e “Tonight” in un crescendo di pathos che trascina sul palco le disgrazie familiari, la dipendenza della madre dall’alcol, la povertà, la religione, gli incontri (fortunatissimi quelli con Lauryn Hill e Kanye West) e l’amore per la moglie Chrissy.

Le ‘storie’ della sua vita e della sua carriera sono una sorta di soggetto, di copione che Legend interpreta talvolta dimenticando che il suo è un concerto. Ma il pubblico gli perdona ogni gigioneria e qualche lungaggine, ripagato da esecuzioni musicali molto convincenti.

A vent’anni dall’esordio con “Get Lifted”, Legend sembra a un giro di boa. Questo spettacolo che avvolge il nastro della sua vita e lancia un messaggio di impegno politico e sociale, pace e di consapevolezza di sè, lascerà prima o poi il posto a qualcosa di nuovo. Per il momento i suoi fan possono accontentarsi di questa versione scintillante e riflessiva.

In una stagione dominata da un senso autarchico della musica e dagli incassi milionari (i casi D’Alessio, Ultimo e Geolier) – della canzone italiana, Legend è apparso come un’eccezione in un cartellone totalmente virato sul suono nazionale. Una bella anomalia che ci mostra come lo spettacolo – e la canzone, frutto di un talento antico e artigianale – viaggia su altre note.

Alfredo d’Agnese

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