Terremoto femminista nelle pagine di Pacifico

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Parlare di femminismo significa entrare in un territorio di tensioni: tra il desiderio di libertà e il peso della tradizione, tra il linguaggio che ci ha cresciuti e quello che ancora dobbiamo inventare, tra le stanze chiuse e le macerie aperte. I libri scelti per questa nuova puntata di Nero su bianco non sono semplici testi da leggere: sono strumenti, specchi e detonatori. Ognuno, a suo modo, ci racconta cosa significa fare i conti con il potere; quello maschile, quello delle parole, quello delle strutture invisibili che regolano chi ha diritto di parlare e chi invece deve tacere.

Parliamo di: La voce del padrone di Francesco Pacifico, Stai zitta di Michela Murgia e Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf.

La voce che ti chiede di non sederti mai troppo comodo, di non credere che l’amore sia pace sociale, è la stessa che, domattina, ti ricorderà che le relazioni non si erediteranno più come un vecchio mobile di famiglia. È la voce che Francesco Pacifico in La voce del padrone riconosce come terremoto: quella delle femministe capaci di spezzare la forma antica della convivenza.

Pacifico (nella foto in pagina di Lucia Re) lo dice chiaramente: vivere con una femminista significa non avere tregua, non avere amnistia. Sei stato, sei e rimani il padrone. La femminista è un meteorite caduto sul mondo, e tra le macerie inizia il tempo della ricostruzione. Da quella frattura nascono possibilità nuove, relazioni libere, amori che non seguono più gli standard dell’industria sociale. Questo monologo non è una teoria: è una canzone che racconta il maschile costretto a specchiarsi in ciò che il femminismo gli restituisce.

E se Pacifico mette in scena il terremoto, Michela Murgia in Stai zitta ci porta dentro la micidiale precisione delle parole. “Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva”. Perché in Italia si muore anche di linguaggio: una morte civile che ti cancella dalle professioni, dalle notizie, dai dibattiti.

Accade quando ti chiamano con l’articolo determinativo davanti al cognome, quando ti spiegano cose che già sai, quando ti dicono di sorridere, di non spaventare gli uomini con le tue opinioni e soprattutto di star zitta. Il libro di Murgia diventa quindi uno strumento per mostrare come dietro ogni ingiustizia ci sia una parola che la sostiene. La sua ambizione è semplice e radicale: che tra dieci anni queste frasi non vengano più dette a nessuna.

Ma prima di Pacifico, prima ancora di Michela Murgia, c’è stato il femminismo di Virginia Woolf. Nel 1929, con Una stanza tutta per sé, l’autrice scriveva che una donna per poter creare aveva bisogno di una stanza e di cinquecento sterline l’anno.

Indipendenza economica e spazio privato: condizioni minime per non essere soltanto specchi che ingrandiscono la figura dell’uomo. Woolf solleva il velo su barriere invisibili ma solidissime, che hanno soffocato la voce delle donne per secoli e lo fa con la grazia di un manifesto letterario che è anche un invito universale: la libertà intellettuale delle donne è un prerequisito indispensabile alla crescita collettiva.

Tre libri, tre voci, tre momenti di un discorso che attraversa generazioni: Pacifico fotografa la crisi del maschile, Murgia smonta le parole che la sostengono, Woolf indica la necessità di spazio e autonomia: un coro dissonante eppure accordato, che ci costringe a domandarci dove siamo, oggi, tra le macerie e le stanze ancora da aprire.

Francesca Mainardi

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