Scomodo, ‘inattuale’, fastidioso, irregolare: il fantasma di Pier Paolo Pasolini si aggira ancora nei meandri della cultura italiana, di tanto in tanto agitato come una voce altra e profetica del nostro presente. Poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo, l’intellettuale bolognese è al centro di “Pa’”, che va in scena da mercoledì 14 a domenica 25 febbraio nel teatro Mercadante.
Si tratta apertamente di un omaggio, prodotto due anni fa per il centenario dalla sua nascita (5 marzo 1922), costruito su una drammaturgia di Marco Tullio Giordana e Luigi Lo Cascio e tratto da testi di Pasolini. La regia del lavoro è dello stesso Giordana, l’interpretazione è affidata a Luigi Lo Cascio (nella foto di Serena Pea) con la partecipazione di Sebastien Halnaut. Un tributo che sembra una sorta di discendente di “A pà”, scritta da Francesco De Gregori e inserita in “Scacchi e tarocchi” nel 1985.
Come scrivono nelle note al testo Giordana e Lo Cascio è “una cernita nell’opus pasoliniano immenso che non ha certo l’ambizione di dire ‘tutto’, né fornire il quadro nemmeno abbozzato, ma di scegliere cosa abbiamo scoperto per noi di indispensabile, al punto da riassumerlo nel vocativo con cui lo chiamavano i ragazzi: a Pa’, per invitarlo a tirare due calci di pallone o chiedergli la comparsata in un film”.
Il lavoro ripercorre la sua vita attraverso le poesie, partendo dal periodo vissuto a Casarsa della Delizia, in Friuli, fino alla sua drammatica e ancora oscura uccisione a Roma 49 anni fa. Profeta? No, scrive Giordana, “il suo era un grido di battaglia che bisognava raccogliere per fronteggiare il declino anziché trattarlo come un visionario jettatore”.
Questo testo ‘ordito’ per il palcoscenico si chiede, nelle intenzioni e nei pensieri del suo autore-regista, che cosa sia ancora vivo, che cosa resti di utilizzabile del suo pensiero e dei suoi argomenti. Pasolini nell’armadio sembra non sia mai finito: ritorna centrale nel dibattito sulla lingua, sulla politica, sull’interpretazione del presente con una certa costanza.
“Pa’” presenta agli spettatori quello che non si può tacere, nascondere e occultare. “Più che la desolata rappresentazione dell’Italia che non c’è più – scrive Giordana – mi colpisce oggi quanto fosse per lui necessario consumarsi e mettersi a repentaglio, addirittura ‘fisicamente’, per poter decifrare e descrivere il suo Paese. Qualcosa che non riguarda solo l’intelligenza ma il corpo, la carne, il sangue.
Questo spettacolo cerca di dar conto proprio di questa disperata attualità, senza preoccuparsi troppo di apparire parziale o arbitrario. D’altra parte ognuno ha il suo Pasolini, com’è giusto che sia, e questo non è che il nostro. Anzi il ‘suo’, perché non c’è parola, virgola, capoverso che non provenga dalla sua opera tanto che potremmo definirlo un’autobiografia in versi”.
A dare forza al lavoro c’è anche la scenografia di Giovanni Carluccio che cita sul palcoscenico il finale di “Zabriskie Point” di Michelangelo Antonioni: gli oggetti della vita quotidiana via via popolano e si accumulano sulla scena dello spettacolo.
Un crescendo di rifiuti tale da trasformarsi in una sorta di discarica sospesa, ambientata nella periferia romana, dove l’archeologia convive con la spazzatura. Così i luoghi di Pasolini si costruiscono e prendono vita nel corso della rappresentazione attraverso semplici oggetti carichi di significato. Segni sintetici, poetici.
Re.run.