A casa di A.d’A. si ascolta un po’ di tutto. Anche musica contemporanea, come quella degli Ars Ludi, che venerdì 28 ottobre si sono esibiti nel Galoppatoio Borbonico di Portici per l’ultima parte della stagione concertistica dell’Associazione Maggio della Musica, un minifestival denominato Galop 22.
L’ensemble Ars Ludi è una delle voci più autorevoli del suono contemporaneo italiano. Il gruppo di percussionisti è composto da Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi e Gianluca Ruggeri con Alessio Cavaliere. Da anni lavorano a una musica figlia del minimalismo contemporaneo (Philip Glass, Steve Reich, Gavin Bryars) mescolandolo con autori di ricerca come Giorgio Battistelli. Lo spettacolo di Napoli, sviluppato con il direttore artistico della rassegna, Stefano Valanzuolo si intitolava Il suono e il gesto e ha offerto agli spettatori un sunto della loro produzione musicale. Abbiamo chiesto ad Antonio Caggiano di parlarcene.
Il suono e il gesto: che significa per voi?
La ricerca del suono fa parte del lavoro di ogni musicista e caratterizza fin dalla sua nascita l’attività di Ars Ludi. Il gesto in sé fa parte del nostro dna di percussionisti. La nostra missione è stata di sposare la percussione d’arte rispetto a quella circense fin dagli esordi.
Che cosa rappresenta il riconoscimento del Leone d’argento alla Biennale dopo 35 anni di attivita?
Ci riempie d’orgoglio, è un evento che segna l’esistenza musicale di un ensemble come il nostro. Ti porta a guardarti indietro e a riflettere su quello che hai fatto. La nostra vita ci ha portato anche a un’attività laboratoriale di artigianato puro, durante il quale abbiamo costruito i nostri strumenti. Vincere questo premio ci fa capire che quello che abbiamo fatto è servito a qualcosa, è uno stimolo a progettare e a guardare in avanti.
Uno dei vostri slogan è: La musica al servizio dell’arte.
Da anni si parla di una grande separazione tra le arti. Per noi non è vero. Se pensiamo al lavoro di Battistelli, di Pollock e Cage, di Bryars, di Glass e di altri abbiamo la dimostrazione contraria. Da sempre le arti si sono incontrate. Oggi succede di meno e la consideriamo una follia. Il problema dei nostri giorni è che c’è troppa autoreferenzialità, manca l’interesse, la gente ha paura di confrontarsi.
Avete inciso solo 6 dischi in 35 anni di attività. Perché?
In primis abbiamo privilegiato lo spettacolo dal vivo. Abbiamo pubblicato dischi solo quando per noi hanno rappresentato momenti fondamentali che andavano testimoniati. Ne avremmo voluto fare altri, ma in Italia il mondo della produzione discografica contemporanea è relegato ai margini. I dischi sono tracce, segni, testimonianze importanti. Comunque stiamo producendo un nuovo disco con brani di compositori italiani che hanno scritto per noi. Stiamo cercando una casa discografica italiana con un respiro internazionale.
Nei vostri ultimi spettacoli mescolate musica popolare e linguaggio contemporaneo. Esiste ancora la divisione tra musica alta e bassa?
Tutti noi veniamo dal rock, dal progressive e dal jazz. Non ci ha mai sfiorato l’idea che esista una musica di serie A e una di serie B. Abbiamo sempre lavorato per rompere le barriere volute da un certo sistema. Siamo nel solco del minimalismo contemporaneo e la musica o è bella e suonata bene o no. La musica contemporanea di oggi piace. Possono definirla di nicchia, ma ha un pubblico ed è un’audience che ha una sua dimensione forte.
Progetti futuri?
Siamo impegnati nel proporre l’opera “Jules Verne” che abbiamo già eseguito alla Fenice di Venezia e che ci è costata 7 mesi di lavoro. Ora la porteremo in tournée. Inoltre abbiamo un progetto di stampo minimalista con la Banda dei Carabinieri. Vogliamo portare questi musicisti dalla nostra parte. Il risultato di questa sinergia arriverà alla fine del 2023.
A.d’A.