Se esiste ancora spazio, in un’epoca dominata dall’urban pop e dal rap, per il pianeta rock, una buona parte è occupato dalla guitar nation, una consorteria che racchiude un pugno di virtuosi dello strumento. Escludendo i maestri degli anni ’60 e ’70, uno dei padri nobili di questa categoria è Joe Satriani, che mercoledì 26 aprile si esibisce con il suo “Earth Tour” nel teatro Augusteo di Napoli.
Statunitense, ma di origini italiane, il chitarrista, compositore e insegnante è uno dei capisaldi del rock strumentale. Da 37 domina la scena con la sua tecnica, erede della lezione di Jimi Hendrix. A Napoli si esibirà in uno spettacolo che comprende circa 26 brani, compresi i bis: una specie di summa artistica che presenta cinque composizioni dal suo più recente “The Elephants of Mars”, altrettante tratte dal precedente “Shapeshifting”, quattro dal suo best seller “Surfing with the Alien”. In ordine sparso altre 12 esecuzioni che toccano diversi punti della sua fortunata carriera. Al suo fianco Bryan Beller al basso, Kenny Aronoff alla batteria e Rai Thistlethwayte alle tastiere, gli stessi musicisti che hanno contribuito alla realizzazione di “The Elephants of Mars”.
Nella scena internazionale Satriani occupa un posto destinato alle personalità di primo piano: carriera ed esperienze personali dicono molto di lui: nel 1988 è stato scelto da Mick Jagger come solista del suo gruppo di accompagnamento; nel 1993, ha suonato in tour con i Deep Purple sostituendo temporaneamente in Giappone Ritchie Blackmore. Parallelamente alla carriera solistica, nel 1996, ha dato vita al progetto G3 che per diversi anni ha accolto i migliori chitarrista della scena internazionale. Nel 2009, infine, ha dato vita con Sammy Hagar, Michael Anthony e Chad Smith al supergruppo Chickenfoot.
“Earth Tour” è il progetto che gli permette di presentare contemporaneamente i suoi ultimi due album e allo stesso tempo mostrare la sua nuova direzione artistica. “Ho fatto un sacco di dischi che hanno oscillato avanti e indietro stilisticamente”, ammette nelle note di accompagnamento di “The Elephants of Mars” in cui parla della nuova generazione di musicisti giovani che suonano jazz, fusion e rock, “un prodotto della mia generazione e il risultato finale di tutte queste influenze”.
Con ‘Gli elefanti di Marte’ afferma di aver sfidato se stesso a uscire dai canoni del classic rock: “Voglio mostrare alla gente che l’album di chitarra strumentale può contenere elementi creativi molto più complessi di quelli che penso le persone stiano usando in questo momento”.
Una scommessa musicale, quella di Satriani, giocata per non farsi sopraffare dalle 67 primavere che ne fanno un highlander della scena post Woodstock. Il suo mantra è votato al carpe diem: “Questo è quello che stai cercando di comunicare e comunque tutto il resto è fuori dal tuo controllo. Non puoi decidere cosa piacerà o meno alle persone, quindi segui semplicemente il tuo cuore”.
Alfredo d’Agnese